San Nicola


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Proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo per le sue doti di pietà e di carità molto esplicite fin da bambino. Fu considerato santo anche da vivo. Durante la persecuzione di Diocleziano(dal 303) pare sia stato imprigionato fino all’epoca dell’Editto di Costantino.(313)

 Nato probabilmente a Pàtara di Licia, in Asia Minore (attuale Turchia), è poi eletto vescovo di Mira, nella stessa Licia. E qui, dicono alcune leggende, compie un miracolo dopo l’altro. Come accade alle personalità forti, quasi ogni suo gesto è trasfigurato in prodigio: strappa miracolosamente tre ufficiali al supplizio; preserva Mira da una carestia, con altri portenti… Nicola muore il 6 dicembre di un anno incerto e il suo culto si diffonde dapprima in Asia Minore (25 chiese dedicate a lui a Costantinopoli nel VI secolo )Ma oltre sette secoli dopo la sua morte, quando in Puglia è subentrato il dominio normanno, “Nicola di Mira” diventa “Nicola di Bari”. Sessantadue marinai baresi, sbarcati nell’Asia Minore già soggetta ai Turchi, arrivano al sepolcro di Nicola e s’impadroniscono dei suoi resti, che il 9 maggio 1087 giungono a Bari accolti in trionfo: ora la città ha un suo patrono. Nell’iconografia San Nicola è facilmente riconoscibile perché tiene in mano tre sacchetti (talvolta riassunti in uno solo) di monete d’oro, spesso resi più visibili sotto forma di tre palle d’oro.
Racconta la leggenda che nella città dove si trovava il vescovo Nicola, un padre, non avendo i soldi per costituire la dote alle sue tre figlie e farle così sposare convenientemente, avesse deciso di mandarle a prostituirsi.Nicola, venuto a conoscenza di questa idea, fornì tre sacchetti di monete d’oro che costituirono quindi la dote delle fanciulle, salvandone la purezza.

 

 

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Nicola Calipari


era il 4 marzo 2005

“Giuliana sono Nicola, sei libera, sono venuto a prenderti per portarti in Italia”. Sono state tra le ultime parole dell’agente del SISMI,Nicola Calipari, reggino di nascita, eroe italiano per vocazione.
Era il 4 marzo 2005, la giornalista del Manifesto,Giuliana Sgrena, era stata rapita un mese prima all’uscita della Moschea dell’Università di Baghdad, una donna energica Giuliana, che non si era fatta spaventare dalla guerra ed era in Iraq per raccontare la storia di un Paese in ginocchio.
Il suo non era il primo rapimento di connazionali, poco prima erano state sequestrate dalla Jihad islamica le volontarie Simona Pari e Simona Torretta, liberate anche loro dallo stesso uomo: il generale Calipari.
Era lui il cuore dell’intelligence italiana in Iraq, lo Stato gli delegò la risoluzione delle questioni più spinose come la trattativa con i rapitori della giornalista italiana, che durò settimane, ma che alla fine si concluse con la sua liberazione.
Nicola Calipari fece pagare un riscatto di 500.000 dollari e portò via Giuliana su una Toyota Corolla diretta all’aeroporto di Baghdad dove il Falcon del SISMI li attendeva, a motori accesi, per fare rotta verso l’Italia.
Alle 20:55, però, due raffiche di mitragliatrice fermarono la corsa dell’auto sulla quale viaggiavano; il tenente americano Mario Lozano, 35 anni, cresciuto nel Bronx, aprì il fuoco ed uccise Nicola Calipari, che ebbe solo il tempo di decidere di sacrificarsi per la sua protetta, spingendola sotto i sedili della Toyota e facendole scudo con il proprio corpo.
Un colpo alla testa, sparato da fuoco amico, una morte assurda che ancora oggi non trova risposte esaustive.
La dinamica dell’incidente sarà stata ricostruita migliaia di volte nella mente di Giuliana Sgrena, che non si da pace da quel 4 marzo e, la sua sensazione, come quella di milioni di italiani, è che qualcosa non è stata detta sulla morte di Calipari.
Gli Stati Uniti hanno condotto una veloce inchiesta interna che ha dato per buona un’unica verità, quella di Lozano che racconta di avere tentato di fermare l’auto in corsa, puntandola con una torcia e urlando per farsi sentire. I suoi stessi commilitoni hanno però, smentito più volte questa versione, non avendo sentito altro che i rumori dei proiettili che perforavano, con due raffiche ravvicinate, gli sportelli dell’auto degli italiani.
Ciò che appare più assurdo è che gli alleati americani sapevano benissimo i dettagli dell’operazione; innanzitutto conoscevano benissimo l’auto in dotazione ai servizi segreti italiani come sapevano che di lì a breve sarebbe passata per portare la giornalista liberata in aeroporto, lo stesso che il posto di blocco USA 541 stava presidiando.
Tutto era predisposto per l’arrivo di Nicola Calipari, quindi, perché aprire il fuoco?
Il processo che si era aperto in Italia per fare chiarezza sui fatti, come sappiamo, è finito prima di iniziare.
La corte di Assise prima e quella di Cassazione dopo, hanno fermato il procedimento contro il tenente americano per mancanza di giurisdizione, secondo quanto stabilito dalle norme consuetudinarie di diritto internazionale.
Il Parlamento italiano dopo un primo tentativo di opposizione alle scelte americane ha ritenuto bastevoli le risultanze degli accertamenti USA ed ha sepolto negli annali polverosi degli archivi di Stato la morte di un uomo che ha servito la Patria fino alla morte.
La vicenda resterà per sempre un giallo italiano sul quale alita lo spettro del complotto internazionale.
Dobbiamo ricordare che nel 2010, su WikiLeaks, il sito di Julien Assange che ha fatto tremare gli Stati Uniti, vennero pubblicate delle indiscrezioni che dimostrerebbero l’esistenza di un accordo tra Italia e Usa per impedire alla magistratura italiana di trovare appigli per continuare le indagini sulla morte dello 007 italiano.
In un dispaccio dato al Guardian e firmato dall’ambasciatore americano a Roma, Mel Sembler, il rapporto italiano sulla morte di Nicola Calipari era stato “designed specifically” (costruito specificatamente) per sostenere la tesi dell’omicidio involontario, capo d’accusa contro il quale i giudici italiani non avrebbero potuto procedere.
Il tutto sarebbe stato concordato per non compromettere i rapporti bilaterali tra USA e Italia, preferendo lasciare il caso Calipari nel dimenticatoio.
Palazzo Chigi ha immediatamente smentito queste indiscrezioni, ma rimane forte il sospetto che il Generale del SISMI sia rimasto vittima di una “guerra tra servizi segreti” nata per discordanze sulla gestione delle emergenze in Iraq.
Giuliana Sgrena, che deve la vita a Nicola Calipari, continua a battersi perché venga aperta una inchiesta parlamentare e si renda onore alla memoria del militare italiano facendo chiarezza su fatti di quella notte maledetta.
Oggi Nicola Calipari, riposa nel cimitero del Verano a Roma, accanto alle spoglie di uomini che come lui erano partiti per svolgere il proprio lavoro e sono tornati in patria per diventare, forse inconsapevolmente, eroi nazionali.
http://www.strettoweb.com/2014/03/nicola-calipari-9-anni-fa-lomicidio-dello-007-reggino-ancora-avvolto-nel-mistero/120405/